Privacy e terzo settore: il Garante riduce le sanzioni per gli enti non profit

Il Garante della Privacy ha applicato una sanzione ridotta a un’associazione non profit coinvolta in un data breach, riconoscendo la natura giuridica non lucrativa dell’ente. Con l’ingiunzione n. 759 del 13 novembre 2024, l’autorità ha imposto una multa di 6 mila euro per violazioni del GDPR, una cifra comunque significativa per organizzazioni con risorse economiche limitate.

Nonostante il GDPR non preveda esplicite semplificazioni per il terzo settore, il Garante ha considerato lo status dell’associazione nella determinazione della sanzione, sottolineando l’importanza di questo fattore nelle memorie difensive. Il provvedimento evidenzia come le associazioni debbano comunque rispettare obblighi complessi, dalla protezione dei dati alla notifica delle violazioni, con il rischio di pesanti sanzioni anche per errori non intenzionali.

La decisione del Garante offre una chiave di lettura per il futuro: gli enti del terzo settore potranno invocare la loro natura non lucrativa e le loro difficoltà finanziarie per ottenere una riduzione delle sanzioni. Tuttavia, resta essenziale adottare misure di sicurezza adeguate per evitare multe che potrebbero risultare insostenibili per molte associazioni.


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Intercettazioni, il governo tira dritto: limite di 45 giorni senza eccezioni

Rush finale alla Camera sulla norma che restringe l’uso delle intercettazioni giudiziarie a un massimo di 45 giorni, salvo proroghe motivate da elementi “specifici e concreti”. La misura, voluta dal governo Meloni e promossa dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, non prevede eccezioni nemmeno per reati gravi come femminicidi, pedopornografia e revenge porn.

Nel corso della discussione parlamentare, tutte le proposte di modifica avanzate dalle opposizioni sono state respinte, scatenando proteste in aula. Deputati del PD, M5S e AVS hanno accusato la maggioranza di indebolire la lotta alla criminalità, con accuse di “vergogna”, “scempio giuridico” e “gioco sulla pelle delle donne”. Federico Gianassi (PD) ha denunciato: “Non siamo contro una regolamentazione delle intercettazioni, ma questo è un provvedimento assurdo. Vi accanite contro le indagini necessarie, ma non contro le intercettazioni abusive”.

A difesa della norma, il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto ha ribadito che non si tratta di uno stop alle intercettazioni, ma di una regolamentazione per evitare abusi e derive come la cosiddetta “pesca a strascico”. Tuttavia, l’ex procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho (M5S) ha duramente contestato il provvedimento: “Senza intercettazioni per più di 45 giorni, molte indagini cruciali rischiano di fallire. Questa norma è un regalo ai delinquenti”.

L’opposizione ha anche criticato la presunta incoerenza del governo, che da un lato limita gli strumenti investigativi contro crimini gravi, dall’altro aumenta le restrizioni nel ddl Sicurezza. Valentina D’Orso (M5S) ha attaccato: “Ieri avete sancito la resa dello Stato contro il grande spaccio, oggi vietate persino le infiorescenze di canapa. Una schizofrenia legislativa pericolosa”.

La giornata alla Camera si è chiusa con una sconfitta per le opposizioni e l’approvazione della norma, che ora passerà al Senato per il via libera definitivo. Una riforma destinata a far discutere, con possibili ripercussioni sulle indagini più delicate del Paese.


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Mobbing e trasferimenti: il giudice chiarisce i limiti

Un datore di lavoro può trasferire un dipendente in un’altra sede per incompatibilità ambientale, a patto che tale decisione non sia una ritorsione per denunce di mobbing o altre contestazioni. È quanto emerge dalla sentenza n. 95 del 10 febbraio 2028 del Tribunale del Lavoro di Milano, che si è pronunciato su un caso sollevato da una dipendente di un istituto di credito.

La lavoratrice sosteneva di essere stata trasferita come ritorsione per aver denunciato in precedenza azioni vessatorie e persecutorie da parte dei superiori. Inoltre, lamentava un peggioramento della propria salute a seguito di tali comportamenti e chiedeva il riconoscimento di un inquadramento superiore, oltre al risarcimento dei danni subiti.

Il giudice, tuttavia, ha ritenuto legittimo il trasferimento, accogliendo la tesi difensiva dell’istituto di credito, secondo cui lo spostamento era una misura necessaria per risolvere una situazione di incompatibilità ambientale accertata. La sentenza sottolinea che, anche prescindendo dalla fondatezza delle accuse di mobbing – successivamente respinte – il mutamento di sede era giustificato dalla necessità di eliminare le tensioni sul luogo di lavoro, tutelando sia la salute della dipendente che il buon funzionamento dell’ufficio e l’integrità degli altri colleghi.

In questo contesto, il trasferimento non è stato considerato un atto ritorsivo, ma una decisione organizzativa volta a garantire un ambiente di lavoro più sereno. Il giudice ha richiamato l’articolo 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti, anche attraverso interventi come il trasferimento in caso di comprovata incompatibilità ambientale.

La pronuncia del Tribunale di Milano conferma dunque che il trasferimento per motivi organizzativi è legittimo, purché non nasconda intenti punitivi o discriminatori.


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L’IA ridefinisce i confini del lavoro: il documento della Commissione Lavoro della Camera

L’intelligenza artificiale sta trasformando radicalmente il mondo del lavoro, rendendo sempre più sfumati i confini tra lavoro autonomo e dipendente. A evidenziarlo è il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul rapporto tra IA e lavoro, approvato dalla Commissione Lavoro della Camera. L’obiettivo dell’indagine era approfondire le implicazioni delle nuove tecnologie nelle dinamiche occupazionali e individuare possibili interventi normativi.

Uno dei punti chiave riguarda la necessità di aggiornare gli attuali criteri che identificano la natura del rapporto di lavoro. L’uso crescente dell’IA nei processi produttivi, infatti, ha reso i lavoratori dipendenti più autonomi nelle modalità, nei tempi e nei luoghi di svolgimento della loro attività, mentre molti lavoratori autonomi operano ormai all’interno di sistemi di controllo basati sull’intelligenza artificiale, rendendoli in alcuni casi assimilabili ai dipendenti.

Altri temi cruciali emersi dall’indagine riguardano la formazione e la sicurezza. Il documento sottolinea la necessità di avviare percorsi di aggiornamento professionale diffusi, partendo dalle scuole, per garantire conoscenza e consapevolezza nell’uso dell’IA. Si propone inoltre un piano Industria 6.0, che vincoli l’accesso ai finanziamenti pubblici all’obbligo di formazione per i dipendenti.

Sul fronte della sicurezza nei luoghi di lavoro, si evidenzia l’importanza di incentivare l’uso di dispositivi di protezione individuale di ultima generazione, integrati con tecnologie IA, per migliorare la tutela dei lavoratori e promuovere investimenti aziendali in soluzioni innovative.

Infine, il documento propone misure per rendere trasparente l’uso dell’IA nelle imprese, garantendo ai lavoratori e alle loro rappresentanze la possibilità di conoscere le finalità e le modalità di utilizzo di questi strumenti. Tuttavia, si avverte il rischio di un’eccessiva regolamentazione che potrebbe ostacolare la competitività delle aziende in un contesto globale.

La relazione della Commissione si chiude con un appello a un utilizzo dell’IA responsabile e antropocentrico, con la supervisione umana in ogni fase del processo. Un equilibrio necessario per coniugare innovazione, diritti dei lavoratori e sviluppo economico.


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Meta AI sbarca in Italia: l’intelligenza artificiale di Zuckerberg su WhatsApp, Instagram e Messenger

Meta AI è pronta a fare il suo debutto in Italia e in Europa. Dopo essere stata messa in pausa lo scorso giugno a seguito delle osservazioni dell’Autorità irlandese per la privacy, l’intelligenza artificiale di Meta verrà progressivamente introdotta in 41 Paesi europei e in 21 territori d’oltremare. Il rollout inizierà nelle prossime settimane con una funzione di chat intelligente disponibile su WhatsApp, Instagram e Messenger.

“La nostra più grande espansione globale di Meta AI fino ad oggi – già utilizzata da oltre 700 milioni di utenti attivi al mese – sta finalmente arrivando in Europa”, ha dichiarato l’azienda di Mark Zuckerberg, sottolineando che il sistema non è stato addestrato con dati degli utenti europei.

L’AI di Meta sarà accessibile direttamente nelle chat: basterà cliccare sull’icona del cerchio blu oppure digitare “@MetaAI” seguito da una domanda all’interno di una conversazione. Tra le sue funzioni, la possibilità di organizzare viaggi, suggerire ristoranti, arricchire le chat con contenuti pertinenti e fornire informazioni in tempo reale dal web.

Meta si dice entusiasta di portare la sua AI anche nel Vecchio Continente: “Guardando al futuro, la nostra ambizione è rendere i prodotti di intelligenza artificiale accessibili a un numero sempre maggiore di persone in tutto il mondo. Siamo impazienti di scoprire come Meta AI trasformerà le esperienze social in Europa”.


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Chiusura degli Uffici Giudice di Pace Aversa, l’appello di Del Noce (UNCC) a Nordio

L’Unione Nazionale Camere Civili esprime forte preoccupazione per la chiusura degli Uffici del Giudice di Pace di Aversa, determinata da una grave carenza di personale amministrativo che rende impossibile l’erogazione dei servizi di cancelleria.

La situazione è paradossale: finora è stato possibile scongiurare la paralisi totale soltanto grazie allo straordinario impegno dell’Ordine degli Avvocati di Napoli Nord, che ha provvidenzialmente stipulato una convenzione con i volontari dell’Associazione Nazionale Carabinieri. Questi volontari, infatti, hanno consentito la pubblicazione di circa 16.000 sentenze che giacevano inevase proprio a causa della carenza cronica di personale.

La criticità riscontrata non è episodica o locale, ma – come già scritto – deriva direttamente da una riforma ereditata e che ha trasferito numerose competenze ai giudici di pace con l’obiettivo di alleggerire i tribunali ordinari e raggiungere così i parametri imposti dall’Unione Europea, senza tuttavia procedere ad un necessario e parallelo rafforzamento degli organici. Attualmente, in tutta Italia, la copertura della pianta organica di tali uffici giudiziari è inferiore alla metà del necessario.

L’Unione Nazionale Camere Civili, pur riconoscendo ed apprezzando la sensibilità e la comprensione dimostrate dal Ministro della Giustizia, il quale, dopo il nostro incontro, ha deciso di posticipare dal 31 ottobre 2025 al 30 giugno 2026 l’entrata in vigore delle nuove competenze dei giudici di pace, rinnova con fermezza il proprio appello affinché il Governo intervenga immediatamente con azioni volte a restituire piena efficienza alla giustizia civile italiana ed assicurare ai cittadini il fondamentale diritto ad una giustizia tempestiva ed efficace, diritto per il quale continueremo a batterci con determinazione. Senza un intervento tempestivo, assisteremo inevitabilmente a una paralisi della giustizia civile che equivarrà, di fatto, a chiedere ai cittadini di rinunciare ad ottenere giustizia per i prossimi due anni.

Così in una lettera indirizzata al ministro della giustizia Nordio a firma del presidente UNCC Alberto Del Noce.


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Esame di avvocato, immediata applicazione della modifica del punteggio minimo all’orale

L’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA) esprime soddisfazione per la conferma dell’applicazione, anche alla sessione in corso, della recente modifica introdotta dal decreto “Milleproroghe”, che elimina l’obbligo di conseguire un punteggio minimo di 105 per il superamento della prova orale dell’esame di abilitazione alla professione forense.

La nota ministeriale inviata alle commissioni esaminatrici conferma l’applicazione immediata della modifica normativa, fortemente sostenuta da AIGA, che elimina il requisito della “sufficienza qualificata”, considerato incompatibile con la Legge Professionale Forense.

In questo modo, si garantisce maggiore equità nella valutazione dei candidati, prevedendo il superamento della fase orale dell’esame a fronte del conseguimento di un punteggio complessivo non inferiore a 90 punti, purché venga raggiunta almeno la sufficienza in ciascuna materia d’esame.


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Avvocato sospeso dall’albo: inammissibile il ricorso al CNF senza l’assistenza di un legale abilitato

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con la sentenza n. 359 del 7 ottobre 2024, ha ribadito il principio secondo cui un avvocato sospeso dall’albo, a seguito di un provvedimento esecutivo, non può proporre ricorso in proprio contro una sanzione disciplinare. In particolare, l’impugnazione deve essere necessariamente proposta tramite un avvocato iscritto all’albo delle giurisdizioni superiori, munito di procura speciale.

Nel caso in esame, un avvocato, sospeso dalla professione per una sanzione disciplinare divenuta definitiva, aveva deciso di ricorrere al CNF senza l’assistenza di un collega legale. Tuttavia, il CNF ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per “difetto di jus postulandi”, in quanto, al momento della proposizione del ricorso, l’avvocato non aveva più il diritto di agire autonomamente in giudizio a causa della sua sospensione.

La decisione del CNF conferma l’importanza di seguire le procedure corrette nel ricorso contro le sanzioni disciplinari, evidenziando che un avvocato sospeso dalla professione non può agire personalmente, ma è obbligato a farsi assistere da un legale abilitato.


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Corte Costituzionale: “Almeno quattro ore d’aria al giorno anche per i detenuti al 41-bis”

Con la sentenza n. 30, depositata il 18 marzo, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della normativa che impone un limite di due ore al giorno per la permanenza all’aperto dei detenuti sottoposti al regime del 41-bis. La Corte ha stabilito che questo trattamento costituisce una violazione dei principi costituzionali, in quanto non giustificato dalla necessità di garantire la sicurezza, che può essere assicurata attraverso la separazione adeguata dei gruppi di socialità all’interno degli istituti penitenziari.

La questione sollevata dal Tribunale di Sorveglianza di Sassari riguarda esclusivamente la durata della permanenza all’aperto dei detenuti al 41-bis, e non mette in discussione il regime speciale complessivo previsto dalla legge. Con la sua decisione, la Corte ha chiarito che, pur mantenendo la struttura del regime differenziato, i detenuti devono poter godere di almeno quattro ore di aria e luce naturale al giorno, come previsto dall’articolo 10 della legge di ordinamento penitenziario. La possibilità di ridurre questo tempo a due ore resta, però, valida solo in casi eccezionali e giustificati.

Secondo la Corte, la normativa precedente, che fissava il limite massimo a due ore, non era conforme alla finalità rieducativa della pena, in quanto riduceva eccessivamente le possibilità di fruire di luce naturale e aria, senza apportare reali benefici in termini di sicurezza. La sicurezza, infatti, è garantita dalla selezione accurata dei gruppi di socialità e dall’adozione di misure di sorveglianza specifiche, che impediscano contatti tra gruppi diversi di detenuti.


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Revocazione per contrasto con la CEDU: la Cassazione pone un limite

La revocazione di una sentenza passata in giudicato per contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) può essere invocata solo in presenza di una violazione che abbia compromesso un diritto di status della persona. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 7128/2025, depositata il 18 marzo, che fornisce un’interpretazione restrittiva dell’articolo 391-quater del Codice di procedura civile, introdotto dalla riforma Cartabia (Dlgs 149/2022).

Il limite imposto dalla Cassazione

Secondo la Suprema Corte, il rimedio della revocazione non è applicabile in tutti i casi in cui la Corte EDU abbia dichiarato contraria alla Convenzione una decisione nazionale. È invece circoscritto alle sole sentenze che abbiano negato, ritardato o erroneamente attribuito uno status personale, generando un pregiudizio non risarcibile con un indennizzo economico.

Di conseguenza, la revocazione non può essere richiesta quando la decisione nazionale ha riguardato esclusivamente una richiesta risarcitoria, anche se relativa a un diritto fondamentale della persona.

Il caso concreto e la decisione della Corte

Nel caso esaminato, i ricorrenti avevano chiesto la revocazione di una sentenza definitiva che aveva respinto la loro richiesta di risarcimento per la morte di un familiare, avvenuta nella camera dei fermati della Questura di Milano. La Corte EDU aveva riconosciuto una somma per i danni non patrimoniali, ma la Cassazione ha ritenuto che tale indennizzo fosse sufficiente a compensare la violazione accertata, escludendo quindi la possibilità di revocazione.

Il principio di diritto stabilito dalla Cassazione

La Terza Sezione Civile ha affermato che l’articolo 391-quater c.p.c. può essere invocato solo se la sentenza passata in giudicato ha negato o ritardato il riconoscimento di uno status personale o se ha attribuito erroneamente uno status pregiudizievole. In tutti gli altri casi, quando la richiesta originaria aveva già una finalità risarcitoria o di compensazione per equivalente, la revocazione non è ammessa.

Con questa pronuncia, la Cassazione delimita in modo netto l’applicabilità del nuovo istituto, confermandone l’uso solo per le questioni legate allo status della persona e non per generiche violazioni di diritti fondamentali.


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